COINVOLGERE IL PAZIENTE MIGLIORA ESITI DELLA CURA
Potrebbe addirittura assurgere a rimedio “blockbuster” del secolo: secondo le ultime ricerche, il coinvolgimento del paziente nelle cure promette, infatti, molte potenzialità tutte da esplorare.
Potrebbe addirittura assurgere a rimedio “blockbuster” del secolo: secondo le ultime ricerche, il coinvolgimento del paziente nelle cure promette, infatti, molte potenzialità tutte da esplorare. Secondo le numerose ricerche sul tema pubblicate nel numero di febbraio della rivista Health affairs, infatti, i pazienti più direttamente coinvolti nella gestione della propria salute sono quelli in cui la miglior gestione coincide con il massimo contenimento della spesa. «Siamo convinti che qualità, sicurezza e costo saranno migliorati – e migliorati in maniera sostenibile – quando riusciremo a concentrare l’attenzione in modo sensato sui pazienti e sui loro familiari» spiega George Bo-Linn, direttore del programma della Fondazione Gordon and Betty Moore di San Francisco, in California, tra gli autori del numero monografico. «Questo richiede di cambiare radicalmente la prospettiva, le strutture e i processi, e di usare un approccio di ingegneria dei sistemi che renda la sanità più efficiente ed efficace». La premessa dell’assistant secretary for health del governo statunitense, Howard Koh, è disarmante: «I medici tendono a sovrastimare la comprensione che i pazienti hanno della loro malattia, e la capacità di afferrare le informazioni fornite. Diamo per scontato che capiscono ciò che stiamo dicendo, ma spesso in realtà non è così. Per questo è importante partire dal livello cui si trova il paziente: è l’unico modo per coinvolgerlo e ottenere che si attivi». Un metodo efficace può consistere nel chiedere all’interessato di spiegare che cosa ha capito della propria condizione e delle opzioni disponibili, come primo passo per condividere davvero le scelte. Se non è chiaro come si possa ottenere il massimo coinvolgimento dei pazienti, è oramai dimostrato che quando c’è diventa un’arma terapeutica potentissima: la revisione della letteratura condotta da Judith Hibbard, dell’Università dell’Oregon, ha concluso infatti che questi hanno un rischio ridotto di ricovero o di accesso in pronto soccorso: «Un’interpretazione plausibile è che i pazienti con più competenze sappiano meglio degli altri ottenere dalle strutture sanitarie ciò di cui hanno bisogno».